lunedì 10 ottobre 2016

EMILIO AIMO, tenore

Nato a Mondovì il 18 luglio 1884, il tenore Emilio Aimo studiò a Milano con i maestri Vanzo e Rosati, debuttando al Teatro di Sassuolo nei Pagliacci. Nel gennaio 1913 cantò il ruolo di Folco nell’Isabeau di Mascagni al Teatro Ponchielli di Cremona. L’editore Sonzogno, presente alla recita, lo scritturò nella medesima opera per i teatri di Pisa e di Salò. Nell’opera mascagnana riconfermò il proprio successo al Sociale di Como, ma lo scoppio del primo conflitto mondiale lo costrinse ad interrompere la carriera. Il 18 giugno 1916 partecipò al grande concerto benefico ai Giardini Reali di Torino, accanto ai colleghi Rinaldo Grassi, Vanni Marcoux e Nicola Fasciolo, cantando brani della Gioconda. Nel dicembre del medesimo anno tenne un concerto nella Sala Comunale di Rivarolo (Torino)
     Dopo la guerra, riprese la carriera cantando come protagonista l’Otello di Verdi al Teatro Sociale di Tortona (novembre 1922) e, nel gennaio successivo, al Metastasio di Prato. Poi, del tenore Aimo si perdono le tracce. Sembra che si sia ritirato dalle scene per dedicarsi ad attività di rappresentante di commercio.
     Non abbiamo incisioni di Aimo, né ci aiutano le recensioni troppo scarse per giudicare la sua voce. Ma dovette trattarsi di un tenore drammatico se fu in grado di farsi apprezzare in opere come Pagliacci, Isabeau e Otello. L’unico giudizio sul cantante lo troviamo ne Il Messaggero, che dopo una recita di Isabeau così scrisse: “Non ricordiamo di avere assistito ad un trionfo simile a quello che il numeroso ed intelligente pubblico ha tributato ad Emilio Aimo”.
     Dimenticato da tutti, il tenore si spense il 29 marzo 1963 nella Casa di Riposo di Vicoforte e La Gazzetta di Mondovì diede notizia della sua morte il 6 aprile.

Dalla «Gazzetta di Mondovì», 6 aprile 1963:

Scompare uno dei protagonisti di un fortunato
periodo di vita cittadina ricco di espressioni d’arte
Il tenore EMILIO AIMO

     Nella malinconica ospitalità del suo ultimo rifugio, a Vicoforte, si è spento Emilio Aimo. Aveva 79 anni ma da molto tempo la sua esistenza si era incurvata sotto il peso delle sofferenze e, più ancora, delle sfortune.
     Scompare la popolare e caratteristica figura, bonaria e sorridente, per molti tratti evocativa di una stagione ben diversa dalla nostra. E scompare uno dei protagonisti di quel fortunato periodo di vita cittadina che fu dovizioso di valori in ogni esplicazione d’arte.
     La notizia funerea adduce alla commozione di molti ricordi. Fa riandare a quel primo ventennio del ‘900, ancora caldo di memorie del grandissimo Giambattista Quadrone, che ha avuto tanto spicco grazie ai trionfi internazionali di Domenico Viglione Borghese e di Bartolomeo Dadone, ai felici esordi di pittori quali Guido Montezemolo e Nino Fracchia, al coro di accese speranze destato da quell’acclamato interprete dei repertori verdiani e pucciniani che fu Giuseppe Testa.
     La carriera teatrale di Emilio Aimo ebbe il suo inizio a Milano, alla scuola del maestro Rosati. Aimo superava brillantemente la fase di impostazione razionale delle sue poderose risorse canore, la critica specializzata nel particolare settore lo considerava tra le migliori promesse del teatro lirico italiano. Il debutto, a Sassuolo, coi Pagliacci fu nettamente positivo.
     Nel 1913, mentre Viglione Borghese riconsacrava la sua gran fama nei più grandi teatri del mondo, mentre Testa era acclamato al Regio di Parma, Guido Montezemolo collocava opere sue nelle primarie gallerie europee, Nino Fracchia vinceva il concorso per la decorazione pittorica del monumento nazionale di Marene e Malfatti già si era piazzato con molto onore nel concorso per il monumento ai Mille sullo scoglio di Quarto, Aimo si aggiudicava larghi consensi come interprete dell’Isabeau a Cremona ed a Pisa. Il «Messaggero» scriveva testualmente: «Non ricordiamo di aver assistito ad un trionfo simile a quello che il numeroso ed intelligente pubblico ha tributato ad Emilio Aimo».
     Fra i tanti successi del nostro amico ricordiamo quello conseguito in una memorabile edizione di Gioconda al Giardino Reale di Torino, sotto un cielo trapunto di stelle e in un’atmosfera di suggestioni e di entusiasmo.
     Vennero poi gli anni della guerra, le ore impegnative per la grande e tragica partita che i politici e i militari avevano decisa e i cui ben meritati frutti, irrorati da fanti generosi ed eroici sacrifici, gli stessi alleati in parte ci defraudarono.
     Nella vita di Emilio il destino subì una diversione ingenerosa. Le ugole d’oro sono insidiate da circostanze assolutamente imprevedibili, crudeli, fortuite. Quando il maleficio si compie i beniamini delle folle sono ridotti alla segregazione da quel mondo brillante che li aveva lusingati, dando loro tanti onori e tante emozioni.
     Però esiste attorno a loro, anche se talvolta invisibile, un alone di affetti e di simpatie. Quanti dagli artisti ricevettero il dono di ore serene, di evocazioni moderatrici delle inquietudini e affinatrici dell’animo, serbano gratitudine.

     Così è stato per Emilio Aimo sin che visse, così sarà ancora. (m. p.)

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