lunedì 10 ottobre 2016

DOMENICO VIGLIONE BORGHESE, baritono

Domenico Viglione nacque a Mondovì Piazza il 5 luglio 1877. Studiò canto a Milano, dove frequentava la facoltà di veterinaria (poi abbandonata), e successivamente al Conservatorio di Pesaro, allora diretto da P. Mascagni, sotto la guida di L. Leonese. Aggiungendo al proprio cognome quello della madre (Borghese), debuttò a Lodi, nel 1899, quale Araldo nel Lohengrin, passando poi a Bologna (Teatro Duse, Lohengrin), Torino (Teatro Balbo, protagonista della novità Atal-Har di Dall’Olio) e Bergamo (Valentino nel Faust). Insoddisfatto dei propri esordi operistici, emigrò in America, svolgendo varie attività, anche umili, a San Francisco. Ascoltato occasionalmente da Enrico Caruso, fu indotto dal celebre tenore a riprendere la carriera e, nel 1905-06 cantò in Messico nella compagnia diretta da Luisa Tetrazzini. Successivamente si esibì in Sud America nella compagnia Scognamiglio. 
Rientrato in Italia, si affermò con grande successo al Teatro Regio di Parma nel 1907 come Amonasro in Aida. Cantò poi nei principali teatri italiani, spagnoli e argentini, in un ampio repertorio comprendente Rigoletto, Trovatore, Otello, Gioconda, La Wally, Pagliacci, Tosca. Nel 1910 debuttò alla Scala nell’Africana e nel 1911 cantò per la prima volta la Fanciulla del west al Teatro Grande di Brescia, facendo del personaggio dello Sceriffo il proprio capolavoro d’interprete vocale e drammatico, ammirato dallo stesso Puccini, che in una dedica lo definì “principe degli Sceriffi”. In questo ruolo trionfò nei più importanti teatri, tra cui il San Carlo di Napoli e l’Opéra di Parigi (1912), il Liceo di Barcellona (1915), il Regio di Torino (1924), la Scala (1930), l’Opera di Roma (1940).
     Secondo la definizione di Eugenio Gara, Viglione Borghese ebbe voce «sonora, gagliarda, “cattiva”, adatta ad esprimere soprattutto l’odio, il furore, la sete di vendetta, tutto ciò che è scritto nelle sacre tavole della religione dei baritoni». Fu molto apprezzato per le qualità sceniche (il suo viso era per natura una maschera mobilissima) e per l’incisività dell’accento: doti che, unite alla voce bella e di grandissimo volume, fecero del baritono monregalese uno degli artisti più apprezzati della prima metà del ‘900. Ritiratosi dalle scene nel ’40 (Fanciulla del west all’Opera di Roma), si dedicò per una decina d’anni all’attività cinematografica, prestando la sua abilità di attore caratterista a una ventina di pellicole, tra cui Piccolo mondo antico, Giacomo l’idealista, Il cielo sulla palude, Il mulino del Po e Il diavolo in convento. Scrisse anche un sapido volume di memorie (Due ore di buonumore).
     Morì a Milano il 26 ottobre 1957. Riposa nella tomba di famiglia nel cimitero di Mondovì.

Dalla «Gazzetta di Mondovì», ottobre 1957:

La morte del baritono Comm. Domenico Viglione Borghese

     E’ giunta da Milano, dove Egli in questi ultimi anni aveva insegnato arte scenica al Conservatorio Musicale, la cara spoglia del baritono comm. Domenico Viglione Borghese, per essere inumata nella tomba di famiglia nel cimitero di Mondovì.
     Il baritono Domenico Viglione Borghese certamente rappresenta un punto fermo nella storia dell’interpretazione musicale non solo per le  eccezionali sue possibilità canore che lo posero subito in primo piano fra i cantanti del suo tempo ma anche per la dolcezza timbrica del suo bel canto, e soprattutto per la liricità delle sue interpretazioni sceniche, che fecero di lui non semplicemente un buon baritono, ma un ottimo interprete, un geniale artista.
     E queste sue virtù sceniche Egli coltivò, anche più tardi, quando, ritiratosi dalla lirica, calcò i teatri di posa in riuscitissime interpretazioni cinematografiche.
     Bizzarra fu la sua vita d’artista, ce la racconta egli stesso in un libretto autobiografico, senza ostentazioni, forse con amare riflessioni, a volte, che ci dicono l’animo suo sensibile e buono, aperto ai dolori e alle gioie della vita.
     Studente fu sbarazzino e spensierato, come tutti gli studenti di scuole d’arte di quel roseo e facile fine Ottocento, bohèmien un po’ sul serio un po’ per posa, come tutti,. con una nera e fluente capigliatura al vento, uno spartito sotto il braccio, tanti sogni che per Lui a poco a poco dovevano divenire realtà. Ed eccolo poi, applauditissimo sempre, in Europa e in America, ora Rigoletto insuperato, ora inimitabile Scarpia, ora Cristoforo Colombo…
     Puccini gli dedicò lo spartito della «Fanciulla del west» chiamandolo il miglior Sceriffo, e al suo nome non si lega questo solo debutto!
     Egli amava Mondovì, la sua città natale. Ogni anno veniva dalla fragorosa Milano su a Piazza, a riposare lo spirito. E chi non lo ricorda con la chioma bianca e fluente su quel meraviglioso proscenio di Piazza Maggiore, fermarsi a stringer mani, e a salutare con largo gesto, direi sacerdotale, o seduto in Belvedere, o più giù in Piazza d’Arme guardare, quasi assorto in chissà quali melodie, la sua terra, ricca di ombre e di colori!
     Ora Egli è morto: al rimpianto della città natale si unisce il nostro e di quanti Lo ammirarono e Gli vollero bene. (m.a.a.)

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